A seguito della pregiudiziale europea sollevata dalla Corte costituzionale, definita dalla Corte di Giustizia di Lussemburgo con l’ormai nota pronuncia Taricco-bis, la Consulta, nella sentenza 115/2018, ha ritenuto di doversi esprimere a chiare lettere per il rifiuto della cosiddetta “regola Taricco”.
La Corte costituzionale, nel pieno rispetto del galateo istituzionale che orienta il dialogo tra le Corti, aveva messo i giudici di Lussemburgo nelle condizioni di poter offrire una più cogente interpretazione del principio di diritto espresso nel caso Taricco. La Corte di Giustizia ha ritenuto invece di avallare le doglianze di indeterminatezza proposte, rispondendo con una sorta di mea culpa che restituiva grande margine di apprezzamento ai giudici italiani.
La Consulta a questo punto – non al fine ad ingaggiare una “lotta per le investiture” con il giudice europeo ma, al contrario, nel pieno rispetto di tale giurisdizione – non si è accontentata dell’ottenuta conferma del proprio orientamento da parte della Corte di Giustizia, ma ha ritenuto di trarne la legittimazione sufficiente per portare a compimento le proprie tesi. La Corte costituzionale, recuperando così la propria piena sovranità nazionale, ha dunque stabilito che, indipendentemente dalla collocazione temporale dei fatti, “il giudice comune non può applicare loro la ‘regola Taricco’ perché essa è in contrasto con il principio di determinatezza in materia penale, consacrato dall’articolo 25 secondo comma, Cost.”. Ad avviso della Consulta, infatti, le garanzie fondamentali in ambito punitivo, tra cui la certezza del diritto in tema di prescrizione, non sono suscettibili di deroghe o limitazioni. Tanto valendo non solo per l’ordinamento interno ma anche secondo i principi stessi del diritto dell’Unione e, per tale motivo, la Corte costituzionale ha coerentemente dichiarato infondate le questioni di legittimità proposte avverso l’art. 2 della legge 130/2008, di ratifica del Trattato di Lisbona.