Sono queste le conclusioni alle quali è pervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n. 41/2018 del 2/03/2018 pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 7/03/2018.
Il giudizio di legittimità è stato introdotto dal GIP presso il Tribunale di Lecce, in funzione di Giudice dell’esecuzione, con riferimento alla domanda di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva di tre anni, undici mesi e diciassette giorni emesso dal P.M. senza sospensione.
E’ noto che il Legislatore con il d.l. 146/2013, convertito con modificazioni dalla l. 10/2014, ha innovato la disciplina dell’affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47 ord. penit., introducendo il c. 3-bis (c.d. “affidamento allargato”) che ne estende l’ambito di applicazione ai condannati con pene, anche residue, non superiori a quattro anni.
Il mancato ragguaglio con la disciplina della sospensione all’ordine di esecuzione ex art. 656, c. 5, c.p.p. – peraltro previsto dalla legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario –, ha portato ad una recente pronuncia di accoglimento della Corte costituzionale.
La Consulta, ritenuto il “tendenziale parallelismo” sussistente tra la possibilità di fruizione di una misura alternativa e la sospensione dell’ordine di esecuzione – stante la “natura servente” di quest’ultimo istituto – ha stabilito in modo esplicito la doverosa equiparazione tra lo status di libertà e quello di detenzione. Ravvisando dunque un’irragionevole disparità di trattamento di situazioni da considerarsi eguali, con la conseguente lesione dell’art. 3 Cost., la Corte ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 656, c. 5, c.p.p., “nella parte in cui si prevede che il pubblico ministero sospende l’ordine di esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggior pena, non superiore a tre anni anziché a quattro anni”.
Ad oggi, pertanto, chi dallo stato di libertà riceve una condanna compresa tra anni tre e un giorno ed anni quattro – grazie all’intervento della Corte – ha diritto a vedersi sospendere automaticamente l’ordine di esecuzione da parte del P.M., per essere messo nella possibilità di accedere direttamente – nel caso in cui dimostrerà di integrarne i requisiti – alla misura alternativa dell’affidamento in prova, senza dover fare un previo ingresso in carcere.
Per chi invece, come un nostro assistito, sia giunto ad un residuo di maggior pena inferiore a quattro anni direttamente allo stato di detenzione, risulta invece direttamente valevole il disposto dell’art. 47, c. 3-bis ord. penit., secondo cui “il magistrato di sorveglianza, quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione all’affidamento in prova e al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione e non vi sia pericolo di fuga, dispone la liberazione del condannato e l’applicazione provvisoria dell’affidamento in prova con ordinanza”. In questi casi, affinché i propri assistiti possano essere rimessi in libertà, sarà necessaria un’apposita istanza alla magistratura di sorveglianza.