Nella sentenza n. 1590/2018, depositata ieri dalla III Sezione Penale della Corte di Cassazione, si legge della vicenda processuale che ha visto condannare l’amministratore di diritto, ovvero il cd. prestanome, in concorso con l’amministratore di fatto in relazione all’omessa presentazione della dichiarazione dei redditi con evasione penalmente rilevante.
E’ stato oggetto di accertamento la circostanza che il prestanome aveva la disponibilità dei conti correnti; che lo scopo della società fosse la creazione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Fin qui direi “non ci piove” sui motivi di conferma della sentenza da parte del Supremo Collegio.
La sentenza è, tuttavia, meritevole di attenzione perché s’incentra sull’elemento soggettivo del dolo, che deve caratterizzare la condotta dell’amministratore di diritto.
E’ quindi necessario accertare la consapevolezza da parte di chi riveste la qualifica formale di amministratore di compiere condotte delittuose.
Si pensi al caso di importanti gruppi societari dove l’amministratore (di diritto) potrebbe non essere consapevole di alcuni “misfatti” di chi viene delegato al compimento di determinati negozi giuridici.
Meritevole di attenzione è proprio questo principio, che viene ripreso con una serie di autorevoli precedenti nel Sole24Ore di oggi.